Dominique Coulon
State Theatre in Montreuil
text by Guido incerti
Località/ Location
Montreuil, France
Progettisti / Architects
Dominique Coulon
Collaboratori / Collaborators
Steve Letho Duclos (project leader)
Sarah Brebbia, Arnaud Eloudyi, Olivier Nicollas, (architects)
Agence Bertrand Meurice
(chief of the construction site)
Committente / Client
City of Montreuil
Strutture / Structural engineering
Philippe Clément, Batiserf
Impianti / Mechanical Engineering
G. Jost
Controllo computi / Cost calculation
E3 Economie
Progetto / Project time
2001-2002
Superficie complessiva / Total floor area
2,600m2
Costo / Cost
9.030.000 euro
IT
In questo comune, sito a nord est dell’area ur- bana parigina, è venuto a disegnarsi e a rea- lizzarsi negli ultimi anni un masterplan per la riqualificazione del centro urbano che l’ammi- nistrazione ha voluto affidare al Alvaro Siza. All’interno di questo piano è stato inserito il progetto per il nuovo Centro Nazionale di Arte Drammatica disegnato da Dominique Coulon. Allievo di Henry Ciriani, e successivamente fondatore, presso l’università di Strasburgo, del master “ Architecture and Complexity” cer- ca nel cross-over tra diverse discipline, anche estremamente diverse tra loro, il filo condutto- re per affrontare il progetto architettonico. Queste note possono apparire non necessarie, al momento, ma serviranno invece per com- prendere il progetto del Teatro di Montreuil. In esso infatti si possono trovare dei caratteri figli della lezione del maestro Francoperuvia- no e nel contempo comprendere il processo di ibridazione che l’architettura ha subito nella pratica di Coulon.
La composizione delle piante, dei prospetti e delle sezioni del teatro vede infatti, in sottofon- do, l’uso delle forme pure e razionali della me- moria moderna, cui i necessari slittamenti e le rotazioni forniscono la necessaria dinamicità contemporanea. Una dinamicità che, partendo dal progetto del 1996 per il Collegio Pastuer di Strasburgo ad oggi, ha visto un continuo au- mento della “velocità” percepita nell’opera
dell’architetto francese.
Oltre che la dinamicità anche la complessità dei progetti è aumentata. Una complessità che vede nel caso del teatro di Montreuil il lam- birsi, l’interfacciarsi, il sovrapporsi di fruitori, forme, flussi, soglie, materiali, usi.
Una complessità che è enfatizzata dal colore, dalla sua presenza che si fa massa o per contra- sto dalla sua assenza che diviene luce.
Il teatro, infatti, sembra figlio ,oltre che del- la più classica composizione architettonica, anche di una fotografia cinematografica che, nello spazio e nel suo uso, rincorre un’anima che tramuta prima in colore e successivamen- te in materia. Come il pigmento seccato sul- la tavolozza del pittore la tinta si impasta, si condensa, sino ad acquisire una sua rilevanza nella gestione scenografica dell’interno archi- tettonico.
Un concetto propriamente visivo che perde astrattezza e diviene architettura. L’uso del te- atro è così condotto da blocchi spazio-tempo, come nelle parole di Deleuze1, che vengono ge- stiti dal colore e che si tramutano in continue fughe e successivi arresti. Uno spazio sincopa- to, appunto drammatico e barocco.
Le sequenze sopra descritte iniziano già all’esterno del teatro dove le pieghe, razionali come un origami , delle cortine murarie ven- gono enfatizzate dal bianco quasi accecante del cemento pigmentato Calcia TX Millennium e dalle sottili scaglie d’ombra proiettate.
Il rosso, come una ferita, apre la sequenza d’in- gresso e nel rispetto del significato del colore, provoca l’eccitazione e spinge verso l’attività. Esso infatti si tramuta in spazi che guidano il visitatore entro tutto l’organismo del teatro, tra scale e corridoi cui si alternano pozzi di luce. Il suo calore è poi enfatizzato anche dal materiale scelto per la pavimentazione che segue tutto il movimento, realizzata in caldo ed esotico le- gno Wengè.
Il proseguio delle sequenze di movimento por- ta poi ad altri ambienti, dove il “filo rosso”che guida il progetto contrasta di volta in volta con il bianco, il grigio chiaro perfettamente neutro del cemento a vista, presente anche nella sa- la teatrale, sino ad arrivare ai pozzi di luce ed allo spazio del bar,o della sala dove la tinta si scioglie fino a sfumare nel nero assoluto. Il co- lore della negazione totale, necessario per fare emergere il potere dell’architettura di luce.
Con il Centro Nazionale di Arte Drammatica l’architettura Dominique Coulon sembra quin- di aver raggiunto un equilibrio al limite.
La massa dell’edificio sembra essere determi- nata non tanto dai materiali che la compon- gono, per quanto solidi essi siano, quanto dal colore. Ma questa affermazione non vuole es- sere riduttiva. Non vuole tradurre il significato dell’architettura a pura immagine. Piuttosto il contrario. L’architettura, per smaterializzarsi e farsi impalpabile, non sempre necessita dei materiali leggeri e trasparenti che moderni- smo prima e l’high tech poi ci hanno indica- to e nel contempo non necessita di sotterfugi grafici sotto cui mimetizzarsi. La storia dell’ architettura ci ha già insegnato che anche la pietra può volare2.
In questo caso Coulon per smaterializzare la massa, in un continuo, drammatico gioco di contrasti, fa solo uso del colore. Con esso l’ar- chitetto riesce a dissimulare il materiale per trasformarlo in immateriale. Il visitatore quin- di all’interno dell’organismo teatrale sembra non essere guidato da spazi compressi e de- limitati da pareti, quanto invece da nastri di colore fluttuanti nello spazio.
Con questa alchimia quindi Dominique Coulon riesce, in questo piccolo teatro da 400 posti alla periferia parigina, a cambiare variando il pun- to di osservazione, e ne fa un luogo dove spazio, luce, ombra, materia e colore diventano altro. Diventano tutt’uno con la funzione dramma- tica che di li a poco coinvolgerà lo spettatore, immergendolo in una teatralità da cui egli si risveglierà solo una volta che avrà varcato la soglia dell’uscita e si ritroverà ancora una volta nell’universo reale.
Note
1 Gilles Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione, a cura di A.Moscati , ed. Cronopio, Napoli 2003
2 l’estasi di Santa Teresa nella Cappella Cornaro ad opera del Bernini è l’esempio più calzante
UK In this town, located northeast of the urban center of Paris, a master plan has in recent years been realized for the regeneration of the urban center, that the administration had wanted to entrust to architect Alvaro Siza. Under this plan is included the project for the new National Dramatic Art Center, designed by Dominique Coulon. A student of Henry Ciriani, and subsequently a founder at the University of Strasbourg of the “Architecture and Com- plexity” master’s program, which looks at the cross-over between different disciplines, even very different ones, as a means to find solutions to architectural projects. This information may seem unnecessary at the moment, but will be useful to understanding the design of the Montreuil Theater. In fact in this project we can find elements from the lessons of the master Francoperuviano, and at the same time understand the process of hy- bridization that architecture has endured in the projects of Coulon. The composition of plans, elevations and sec- tions of the theater sees, in fact, in the back- ground, the use of pure and rational forms of modern memory, where the necessary shifts and rotations provide the necessary contem- porary dynamic. A dynamic that, starting from the project in 1996 for the College Pastuer in Strasbourg, until today, has seen a continuous increase in “speed” percepted in the projects of Coulon. In addition to this dynamic, the com- plexity of the projects has increased. A com- plexity that sees in the case of the Montreuil Theater, the interfacing and overlapping of users, forms, flows, sills, materials, and uses. A complexity that is emphasized by color, by its presence that becomes mass, or by contrast from its absence that becomes light. The theat- er, in fact, seems to come from, in addition to the more classical architectural composition, also a cinematographic photography that, in space and its use chases a soul that transmutes first in color and then in material. As with the dried pigment on the painter’s palette, the paint kneads and condenses itself, to acquire its relevance in the scenographic management of the interior. A visual concept that loses abstraction and be- comes architecture. The use of the theater is driven by blocks of space-time, as in the words of Deleuze1, which are managed by color and appear at times expansive, and at other times limited. A syncopated space, indeed tragic and baroque. The sequences described above al- ready start outside the theater where the folds, rational as an origami, of the curtain walls are emphasized by almost blinding white ce- ment pigmented of Calcia TX Millennium, and by thin slivers of projected shadow. The red, like a wound, opens the entry sequence and in respect to the meaning of color, provokes excitement and pushes toward activity. The red turns into spaces that guide the visitor into the entire body of the theater, including stairways and corridors where wells of light alternate themselves. Its heat is then also emphasized in the material chosen for the pavement that follows the movement of the entire path, made with warm and exotic Wengè wood. The continuing movement sequences bring the visitor to other space, where the “red line” that guides the project contrasts from time to time with white, with the perfectly neutral gray of the cement, also present in the theater hall, arriving at wells of light and a bar space, or the room where the color melts and fades to black. The color of total denial, necessary for the emergence of the power of the architecture of light. With the National Dramatic Arts Center the architecture of Dominique Coulon seems to have reached the limits of balance. The mass of the building seems to be determined not so much by the materials that compose it, but by the color. But this assertion does not mean to be reductive. It does not want to translate the meaning of the architecture in pure image. Quite the contrary. Architecture, to demateri-alize itself and become impalpable, does not always need, as modernism first, and high-tech later taught us, light, transparent materials, and at the same time does not require graphic subterfuge under which to camouflage itself. The history of architecture has already taught us that stone can also fly2. In this case Coulon, to dematerialize the mass in a continuous dra- matic game of contrasts uses only color. With this the architect manages to conceal ma- terial to make it immaterial. The visitor, then, inside the theater does not seem to be guided by compressed spaces defined by walls, but rather by colored ribbons floating in space. With this alchemy Dominique Coulon can, in this small theater of 400 seats in the Parisian suburbs, change the perspective, change the point of observation and make a place where space, light, shadow, material and color become something other. They become one with the dramatic function that soon involves the viewer, immersing him in a theatricality from where he will wake up only when he exits the theater and finds himself again in the real universe.
Notes
1 Gilles Deleuze, What is the act of creation, ed- ited by A. Moscati, ed. Cronopio, Naples 2003
2 the ecstasy of St. Teresa in the Cornaro Chapel by Bernini is the most fitting example